Ridi, pagliaccio

clown
Eccoci, ci siamo, il carnevale è alle porte ma già l’etere si popola di clown, buffoni, giullari, illusionisti, giocolieri, suonatori e cantastorie.

Tutta gente che fa a gara per apparire in tivù e dire la sua. Giocano a fare gli opinionisti, i saggi, gli esperti, gli scopritori del vero e del giusto, gli affidatari del bene e del buono.

Le marionette (che in tivù interpretano alternativamente il ruolo del conduttore o del giornalista) si rivolgono a loro con esagerato e goffo rispetto e riverenza, chiamandoli politici ed appellandoli con il titolo di onorevole (l’ossimoro è tra le figure retoriche il mio preferito).

E la giostra parte per un nuovo giro. Non si ferma mai. La musica si fa sempre più incalzante, il ritmo batte sempre più rapido e lo spettatore ride divertito, ignaro di esserne rimasto ipnotizzato. Batte le mani e canta. Senza sapere perché.

Se solo si potesse ad un cenno del regista spegnere tutto e dare finalmente la parola al protagonista.
Ha già imparato da tempo la sua battuta, se la ripete in continuo, ad ogni ora del giorno e della notte, ansioso di poter finalmente gridare all’apice del climax: “la Commedia è finita!

Massmediocrità