Myanmar

myanmarSiamo abituati a chiamarlo Birmania, così come era chiamato già agli inizi del secolo scorso, ma dall’89 il paese è ufficialmente chiamato Myanmar, nome applicatogli dal regime militare che lo controlla da quell’anno.

Sì, la Birmania è sotto dittatura militare dal 1989. Non dall’altro ieri, non da una manciata di anni fa ma da ben 18 anni. Se si pensa che in quell’anno cadeva il muro di Berlino, uno può farsi un’idea di quanto tempo sia passato.

Non che prima dell’89 si stesse poi tanto bene! Ricordiamoci che da metà degli anni settanta si definiva essere una repubblica socialista, un po’ come la Cina… e come il vicino Vietnam dove in quegli anni si concludeva la famosa guerra che vedeva coinvolte (e sconfitte) le truppe americane.

Quindi è da tempo che i birmani non se la spassano.

Ed è anche da qualche annetto che ne seguo gli eventi. Sono venuto a conoscenza di questo conflitto quando sul sito Lonely Planet scopro che non si chiama più “Birmania” (come avevo studiato alle medie).

Lonely Planet è un editore di guide turistiche per viaggiatori “fai da te” che desiderano conoscere a fondo i luoghi prima e durante la visita. Trovo il loro sito estremamente interessante perché riassume in poche pagine una dimensione a 360° sulla storia e la vita di una nazione (o una area geografica). Ne consiglio vivamente la lettura perché questa davvero è l’occasione migliore per accrescere ed ampliare la propria finestra sul mondo. Anche se non si ha pianificato alcun viaggio.

Lonely si distingue anche per la sincerità ed oggettività delle presentazioni, ma in questo caso mi colpì il tono severo e critico. In sostanza ne sconsigliava la visita, per non andare ad arricchire i fedeli alla junta militare che controllano gran parte dell’industria turistica. Una posizione che eticamente potrebbe risultare discutibile a molti, poiché è proprio grazie al turismo che i birmani hanno la possibilità di restare in contatto con il resto del mondo.

Ad ogni modo, colgo l’occasione di questo blog per dire la mia dal momento che in questi ultimi giorni la situazione sta degenerando nel caos. Il popolo, stanco dell’oppressione e delle continue violenze sta reagendo. Ed è un momento eccezionale.

Molti ne soffriranno, molti perderanno la vita (propria o dei propri cari) ma c’è solo una strada che porta alla democrazia ed alla libertà e questa strada è proprio la rivoluzione. Non ci sono altri percorsi. Interventi esterni, sanzioni, forze multinazionali non potranno mai portare allo stesso risultato.

Anzi, peggiorerebbero sempre e comunque le cose. Basta un breve ripasso della storia contemporanea per farsene una ragione.

Mi auspico quindi che il mondo non resti indifferente alla lotta del popolo birmano, ma anche che non intervenga rischiando di sballare un equilibrio instabile che oscilla pericolosamente tra la libertà ed il disastro.

Evviva il coraggio dei birmani che hanno trovato la forza di alzare la testa e dar voce al loro pensiero!

6:25 pm Massmediocrità
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